PALERMO – Mancano le infrastrutture e la Sicilia è condannata più del resto d’Italia. È il sunto dell’analisi del presidente dello Svimez, Adriano Giannola. Anche in prospettive a medio e lungo termine i numeri siciliani sono terribili.
La Sicilia è tra le regioni che negli ultimi 15 anni ha perso più valore aggiunto nel comparto dell’industria, vale a dire quanto l’industria in senso stretto produce (ad esclusione delle costruzioni, dati Cgia Mestre e Istat). Si parla addirittura di un dimezzamento di questo valore. Secondo voi quali sono i motivi del tracollo?
“Di fatto parliamo di un trend nazionale e difatti c’è una perdita di valore aggiunto in Italia di oltre 1’8%. La Sicilia poi paga oltremodo strutturalmente, come nel resto del Mezzogiorno, la carenza di infrastrutture. Soprattutto la logistica che non viene sfruttata per come dovrebbe essere. La Sicilia al centro del Mediterraneo non ha nemmeno un porto degno di questo nome. Quello di Augusta ad esempio non funziona perché deve essere disinquinato”.
Secondo voi Regione e Stato hanno le loro manchevolezze rispetto a questo tracollo che si è verificato? Se sì in che termini e perché? Cosa secondo voi andrebbe fatto per risollevare e rilanciare il comparto?
“Se in 20 anni lo Stato e la Regione non hanno fatto nulla per determinare una struttura unica in tutta il Mediterraneo è chiaro che ne paghi un costo. Il problema reale è attrezzare questa Sicilia alla sua missione mediterranea e non mi sembra che in termini di infrastrutture si sia fatto nulla. Da 30 anni la questione si dice che deve essere affrontata da destra e sinistra, ma alla fine nulla è stato fatto. In realtà il problema è anche nazionale, anche nel resto d’Italia ci sono delle difficoltà”
Sul piatto ci sono importanti fondi da potere sfruttare, pensiamo al Pnrr o alla Zes unica. C’è tempo e modo di poter in qualche modo svoltare?
“La zona economica speciale di Catania non è ancora a regime, non credo per colpa degli amministratori locali perché queste sono scelte nazionali. La Zes unica del sud, che da marzo prenderà forme più chiare, può far svoltare in qualche misura per un motivo. C’è un’unica strategia centralizzata. Con quest’unica cabina di regia, che autorizza e pianifica, tutto potrebbe essere strategico. Però penso al Pnrr e agli investimenti fatti sino ad ora, mi sembra ci siano solo interventi di ‘manutenzione’ e nulla di più. Si dovrebbe parlare di logistica e invece ancora non vedo questo tipo di investimenti. Si è fatta solo la battaglia per accaparrarsi i fondi ma per farne cosa? Il nocciolo reale resta quello. Se non ha una strategia forte il Pnrr non potrà portare grandi risultati in termini di cambiamento. Bisogna fare investimenti reali su cosa necessita davvero. L’Europa ci ha detto chiaramente che serve rimettere in moto il Mezzogiorno ma non mi sembra che il piano sia stato concepito con questo concetto. Serve avere chiari degli obiettivi, serve un piano del lavoro per l’Italia che metta in moto il Mezzogiorno. Qui c’è un disastro sotto il piano dell’occupazione, penso ad esempio: chi manterrà le pensioni nel 2030? C’è una prospettiva di insostenibilità demografica ed economica del paese. Bisogna cercare di trattenere i giovani, evitare le fuga dei cervelli, perdiamo un capitale umano prezioso al Sud e ci costa molto. Istat e Banca d’Italia ce lo dicono da tempo, andando avanti in questo modo si perderà un Pil nel Mezzogiorno del 38% nel 2070, nel centro Nord si arriverà al 28% nell’ipotesi che la produttività pro capite rimanga la stessa con una popolazione ridotta di 6-7 milioni di abitanti. Saremo molto più fragili perché il tasso di dipendenza delle persone anziane diventa un onere molto
rilevante”