Giannola: «L’Autonomia farà male al Sud e anche al Nord. Ma è già realtà, ora discutiamo nel merito»Il presidente Svimez conclude la Summer School di Ventotene su «Europa e Regioni. Entro una settimana il processo dell’Autonomia differenziata sarà concluso, non ha senso dunque dibattere se siamo d’accordo o meno. Il dado è tratto. Ma la riforma porrà nuovi problemi: li dobbiamo affrontare con il confronto e non con lo scontro, ovvero evitando le risse in Parlamento». L’economista Adriano Giannola conclude con una lectio magistralis di stringente attualità la Summer School dell’Associazione Per l’Europa di Ventotene presieduta dal costituzionalista Andrea Patroni Griffi. Oggi, giovedì 13 giugno, l’incontro di chiusura del corso annuale aperto a laureati, dottorandi e specializzandi. Il presidente della Svimez ricorda le sue posizioni: «Siamo stati i primi a scendere in campo non contro l’autonomia differenziata ma soprattutto contro il modo pericoloso in cui è stato portato avanti questo progetto». Lo studioso osserva poi: «Già nella Costituzione del 1947 si affrontava il tema del dualismo economico, nell’articolo 119 entrava per la prima volta la parola Mezzogiorno. Era il risultato di un lungo dibattito, di analisi profonde, come quella di Nitti, ma in quell’occasione diventa impegno costituzionale. Da allora è un dovere attuare l’unificazione economica e sociale del paese, dopo che si era compiuta quella politica. L’articolo 119 è stato poi oggetto della riforma del Titolo V del 2001, in cui invece si cancella la parola Mezzogiorno. La riforma del 2001 è stata oggetto di un referendum confermativo. Oggi possiamo scandalizzarci, ma è in vigore. Come affrontare quindi la questione? Il punto è che non c’è alcun dibattito. Ci sono le risse, ma non si discute nel merito». Italia grande malato d’Europa. L’argomento è rilevante anche in riferimento a quanto sta accadendo in Europa. «Noi potremmo essere l’elemento stabilizzatore di un sistema in fibrillazione. Invece crediamo che il problema stia nel rapporto tra nord e sud Italia, senza capire che invece è quello del posizionamento dell’Italia intera nel contesto europeo e globale». La priorità? Puntare sullo sviluppo, che è cosa ben diversa dalla coesione: «Le politiche di coesione significano mantenimento dell’esistente, sviluppo invece vuol dire intervenire per cambiare la realtà. La coesione è molto conservatrice, al di là delle apparenze. Il concetto di sviluppo è fuori moda perché è difficile cambiare la realtà, lo Stato dovrebbe prendere decisioni. Oggi invece lo Stato è arbitro e non più regista. Deve venire l’Europa con il Pnrr per invitare a cambiare le cose. E l’Italia cosa farà con i soldi del Pnrr? La manutenzione di una macchina obsoleta. Stiamo regredendo e spaccando il paese in due ed è un suicidio anche per il nord. L’Italia è il grande malato d’Europa, ma non solo il Sud. La Lombardia, l’Emilia, il Veneto hanno perso posizioni rispetto all’Europa. Si illudono di cavarsela perché attirano le migliori forze del sud, ma piano piano peggiorano anche le loro situazioni. Non si salvano alzando ponti levatoi». Cosa servirebbe allora per promuovere lo sviluppo? «Soprattutto idee, anche idee semplici: l’Italia è un paese strategico per la sua posizione al centro del Mediterraneo, ma per essere tale deve essere attrezzato con grandi hub portuali, come Rotterdam. L’Africa è il continente del futuro, bisogna saperlo. E poi è necessario l’aggiornamento energetico. Invece le politiche pubbliche puntano solo su bonus e incentivi. Ecco, il tema dell’Autonomia si innesta su un’esigenza fondamentale: mettere al centro del dibattito la terapia per il grande malato d’Europa».
RdC, proposte SVIMEZ per cambiarlo
“Non mi unisco al coro…